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Dalle rive del Tevere ai cesti in vimini  

Percorrendo la strada per Viaio, in direzione del Tevere, si noterà senz'altro una scuola di campagna situata lungo la strada in mezzo ai campi coltivati. Qui una famiglia di artigiani continua una tradizione secolare provvedendo alla lavorazione dei vimini raccolti lungo il fiume, un'attività che poi la famiglia Del Barna prima e la famiglia Luzzi dopo hanno perfezionato fino alla produzione di oggetti destinati ad un mercato esteso ben oltre Anghiari. 

La famiglia Luzzi tuttora produce in funzione di un mercato nazionale ed estero. Quando gli steli sono essiccati, inizia il lavoro di questi cestai, partendo dai costelli intrecciati che imbastiscono la base per procedere con la tessitura fino alla bordatura finale (l'orlo di cima). Per svolgere questo lavoro occorre tanta esperienza. L'azione dell'acqua e la trafilatura rendono gli steli estremamente elastici e sottili, così da rendere possibile la produzione continua di ceste, panieri, sedute. Perciò il vimini viene anche coltivato in piantagioni e raccolto a febbraio. Esso giace a bagno per circa due mesi e quindi sbucciato. Una volta essiccato, verrà legato in attesa di dar vita ai bellissimi cesti delle terre di Anghiari.  

Oltre all'attività prettamente economica, segnaliamo le creazioni del Prof. Giuseppe Tofani un appassionato della cultura e della tradizione locale particolar­mente legato alla civiltà contadina che usa il vimine in forma d'ar­te, creando con esso non solo pregevoli oggetti d'uso, ma anche vere e proprie statue di vinco.
Il colore del guado  
Un altro prodotto un tempo estremamente apprezzato e per questo motivo esportato era un colorante tipico estratto da una pianta coltivata un po' in tutta la Valtiberina. Al contrario di altre tinture, il guado (questo era il nome) non doveva essere importato. Le stoffe tinteggiate con il guado assumevano la colorazione dell'indaco, ma il successo di questo colorante era dovuto soprattutto al fatto che esso veniva ricavato dalle foglie di una piccola pianta che veniva seminata a primavera per dare anche cinque raccolti all'anno (tant'è che si pensava addirittura che potesse servire da fertilizzante per i terreni). La macinatura delle foglie avveniva nei frantoi e la pasta che se ne ricavava veniva lasciata riposare per qualche giorno per poi essere essiccata in forma di pani. Come un sapone, al momento dell'utilizzo il guado  veniva  poi  disciolto nell'acqua bollente, come ben sanno in quel di Tavernelle (frazione di Anghiari), dove esisteva e operava una delle più antiche tintorie del territorio. Purtroppo l'avvento dei coloranti chimici fece dimenticare questo tipo di produzione.  
I vasai d’Anghiari
Molte famiglie ad Anghiari conservano ancora pignatte, tegami e scaldini (questi ultimi di tre diversi tipi: la vecchia, la florentina e il costolato) frutto di una tradizione di vasai ormai estinta. La tipicità di questa produzione era nel caratteristico colore, ottenuto dalla macinatura di sassi neri che affiorano abbondantemente nel territorio di Anghiari. Noduli di manganese ricchi di metallo, furono utilizzati fin dalla notte dei tempi per ricavarne smalti per le terrecotte.
Alla cottura dei manufatti in argilla seguiva la colorazione tramite vernici a base di acqua e manganese, dalla cui percentuale dipendevano le tinte rosse o nere che contraddistinguevano questa produzione sviluppatasi ad Anghiari intorno al XVII secolo e protrattasi fino all'800, periodo in cui essa raggiunse il massimo livello di fama.
La tradizione si è estinta, ma esiste il progetto di riproporre tali manufatti in una mostra permanente di ceramiche anghiaresi.
 


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Autore Fabio Montagnani
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Ultimo aggiornamento il 1 Giugno 2017
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