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IL FATTORE DONNINI  di Giuliana Biagioli 


Nel 1858 Ricasoli passa ancora del tempo in Maremma, ma dal 1859 le vicende politiche lo tengono lontano.
Ricasoli alla testa del Governo provvisorio riprese il lavoro di bonifica idraulica e rilanciò il ruolo delle ferrovie da Asciano a Grosseto e da Livorno al Chiarone; questa seconda fu inaugurata da Ricasoli stesso nel marzo 1861.
I conti erano quasi sempre in rosso. Le spese (per salari e macchine soprattutto) sono superiori alle entrate della vendita dei cereali.
La portata finanziaria dell'esperimento maremmano emerge chiaramente dalla contabilità patrimoniale di quegli anni.
Dal 1852 al 1859, Ricasoli affrontò due sole grosse spese. La prima era una spesa che possiamo definire straordinaria: la dote per la figlia Elisabetta, che fu fissata in 30.000 scudi (L. 210.000) molto inferiore cioè a quella portata dalla madre; ma il marito Alberto Ricasoli poteva prevedere che Elisabetta sarebbe stata unica erede del patrimonio dei Ricasoli da Brolio.
Due terzi della dote, 140.000 lire, furono pagati ad Alberto nello spazio di due anni: sulle restanti 70.000 lire, direttamente riservate dal Ricasoli ad Elisabetta, furono invece a lei pagati gli interessi, mentre il capitale venne destinato all'impresa maremmana.
Per l'impiego del capitale di Elisabetta a Barbanella, Bettino era estremamente preoccupato, visti i negativi esiti economici degli anni iniziali. Come scriveva al fratello Vincenzo nel 1856,:
"Di Barbanella sarebbe meglio non parlare... Ma intanto io sciupo delle somme che restano senza frutto alcuno, e anco per questa parte sono molto rattristato perché ho adoperato dei denari di mia figlia che ho rinvestito in un modo, che se io venissi a morte oggi o domani mi dovrebbero maledire per averlo fatto, lasciando loro invece un possesso pieno di ugge di ogni genere..."
Barbanella infatti fu l'altro settore principale che assorbì il reddito ed i capitali del Ricasoli dal 1855 al 1858.
La tenuta di Barbanella, al momento iniziale, così appare nella descrizione fattane da B. Ricasoli a C. Della Porta, Firenze 20 ottobre 1855:
"Il mio nuovo acquisto ha per corredo due grandi stallone con vasto locale per fieno sopra. Sul canto di una di queste dimore per gli armenti ho innalzato la fabbrichetta tirandola su a guisa di torretta, che è divenuta così la mia modesta dimora!
Dodici milioni di braccia quadre (409 ettari circa) di pianura stanno intorno a questa casatta... questa estensione di superficie mi appartiene. Non ho vicini per quanto scorge l'occhio, eccettuato il cimitero e la città di Grosseto a quasi un miglio..."
Negli anni '60 Ricasoli fece altri acquisti di terre, fino a quello della Sugarella, circa 70 ettari nella pianura grossetana; in tutto, 417 ettari Barbanella, più Sugarella.
Il prezzo di acquistodei 409 ettari iniziali della tenuta era stato di L. 42.900 toscane; in seguito ne erano state spese altre 42.000 per affrancare il fondo dagli oneri che su di esso gravavano. Le spese di registro e piccoli acquisti successivi assorbirono altre 8000 lire. La voce più nuova però, per l'investimento di capitali, era quella in macchine, ascendente a complessive L. 20.000.
Nel 1858, Ricasoli aveva già "versato" in Maremma per 20 mila scudi, cioè 140.000 lire. La somma complessiva al 1863, valutata per comodità in vecchia moneta toscana dallo stesso Ricasoli, ammontava a 245.590 lire, pari a lire italiane 206.000 circa. Nel 1875 il valore era salito a L. 372.962, compresa però la tenuta della Sugarella che Ricasoli aveva comprato nel 1864.
Non si può certo affermare che l'impresa di "grande coltura" in Maremma riuscisse felice dal punto di vista dello scopo propostosi dal Ricasoli, quello del profitto dell'imprenditore. Le spese per Barbanella superarono quasi costantemente le entrate; tra il 1855 ed il 1861 ci fu uno scapito di 60.000 lire e dopo un primo anno di bilancio in attivo (il 1862 - 1863) si tornò a conti sempre in rosso, anche se in misura minore che nel passato, fino al 1868. Solo negli anni '70 - quando la "gran cultura" era già stata in parte accantonata - la situazione contabile migliorò.
Le ragioni per cui il tentativo agrario più ambizioso di Ricasoli coincise con un insuccesso finanziario sono certo molteplici, ma ne esiste forse una di fondo. Ricasoli tentava di intervenire radicalmente nella trasformazione di una realtà agraria molto difficile ed arretrata, con un impegno finanziario per il quale contava di avere risutati positivi a breve termine. Ma le innovazioni nel settore agricolo - specialmente le più audaci - richiedono spesso tempi lunghi.
La stessa acquisizione della nuova tecnologia si rivelò difficile; mentre una macchina montata in un opificio funziona presso a poco alla stessa maniera in ogni paese, le differenze possono essere molto più notevoli in campo agricolo. L'esperienza delle macchine che Ricasoli comprò e fece lavorare a Barbanella è una delle tante riprove della difficoltà di acquisire e trapiantare tecnologia da un certo tipo di agricoltura ad un'altra. Le mietitrici e le seminatrici introdotte erano state progettate per tipi di terreno molto diversi quanto a struttura fisica e pedologica, sistemazione idraulica e metodi di coltura; non c'è da stupirsi se diedero, contrariamente alle grandi speranze del barone, un mediocre risultato nel nuovo ambiente.
All'incirca dal 1858, con la ricomparsa dell'interesse per la vita politica, con le difficoltà finanziarie permanenti nell'azienda l'entusiasmo di Ricasoli andò diminuendo fortemente. Per una simile impresa sarebbe stato necessario che il proprietario, accollandosi la conduzione del fondo con manodopera bracciantile, restasse poi tutto l'anno a vigilare sullo svolgimento delle operazioni agrarie, mentre egli non abbandonava l'effettiva ed assoluta cura di Terranuova e di Brolio; il tentativo di affitto sociale non lo aveva soddisfatto. Ritornato ad affidare l'amministrazione della tenuta ad un agente, le possbilità di occuparsi direttamente della gestione di Barbanella si ridusse ulteriormente con il suo reingresso nella vita politica.
Né riusciva a far sì che gli agenti lasciati a Barbanella seguissero i criteri da lui adottati per la "grande coltura", e ne parla con tono di scoraggiato rammarico al maestro di casa, Pettini, nel 1861: "... fra le altre cose che ho saputo di codesto somaro del Donnini vi è quella che non abbia mietuto a macchina che pochissimo grano, atteso lo avere macchine in cattivo stato, e la sua incapacità mi ha recato gravi danni. Io gradisco che il nuovo Agente stia a Barbanella, come vi sta il Donnini, che si procuri di megliorarvi i sistemi agrari senza tornare ai vecchi sistemi maremmani; ci si procuri di fare tutto con saggia economia, per modo che le spese scemino, e le entrate si accrescano; che si adoperino le macchine, e i nuovo ordigni, che fanno tanto bene, e procurano tanti miglioramenti..."
Ricasoli tornò più volte sul progetto di vendere Barbanella, con la quale uscirebbe "da questi capigiri, e dalle mani della canaglia d'ogni sorte". Il barone tornò più volte sul progetto di vendere o allivellare Barbanella. Nel 1863 commissionò a Francioni un progetto di appresellamento (a livellari), sul modello di quello Franceschi per Vignale. A seguito della perizia, Ricasoli tentò la vendita della tenuta per 300.000, ma senza successo.


(G. Biagioli - Università degli Studi di Pisa - Dipartimento di Storia Moderna e Contemporanea)

 




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