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L'ARTIGIANATO DELL'ALABASTRO

Cavalli di Alabastro
Volterra è una città d'arte, unica ed irripetibile, dove lo stesso paesaggio contribuisce ad esaltare l'alone di mistero, di solitudine e di romantica tristezza che la pervade. E' una città di pietra, (città del vento e del macigno la definì D'Annunzio) perché di pietra sono le strade, di pietra sono le sue torri e i suoi palazzi e di pietra sono le sue mura austere. Tutto è fatto di una pietra giallo-grigia, il panchino, da cui spesso affiorano conchiglie di rara bellezza; sulla pietra, l'alabastro, si fonda anche il suo artigianato. La provenienza del nome "alabastro" è egizia e forse deriva dalla città di Alabastron, celebre anticamente per la fabbricazione di vasetti e di anfore destinati a conservare i profumi. Esistono due varietà d'alabastro: quello orientale (composto di carbonato di calcio) e quello gessoso (composto di solfato di calcio idrato). L'alabastro gessoso che è lavorato a Volterra, ed in particolare quello estratto dal sottosuolo di Castellina Marittima, si è formato nel periodo miocenico, in seguito ad un processo di sedimentazione e concentrazione del solfato di calcio contenuto nelle acque marine. Si tratta di una pietra candida che, per la sua particolare morbidezza, si presta ad essere lavorata più facilmente del marmo, anche se è più delicata e meno resistente agli agenti atmosferici, e quindi è adatta a riprodurre in scala ridotta i motivi ornamentali ricchi di dettagli ed a ritrarre nei particolari il volto umano, secondo i canoni estetici dell'arte classica. Gli Etruschi lo usavano per costruire sarcofaghi e urne cinerarie che abbellivano con ricche decorazioni raffiguranti l'immagine del defunto (i coperchi), o con scene di vita quotidiana, o immaginari viaggi nell'oltretomba, o episodi famosi della mitologia greca (l'urna). In questo loro artigianato gli Etruschi usavano solo l'alabastro più pregiato, quello privo d'impurità: lo coloravano superficialmente con sostanze minerali e certe volte lo ricoprivano di sottilissime lamine d'oro. Vaso di AlabastroUna delle maggiori raccolte di queste urne è custodita nel Museo Etrusco Guarnacci, altre si possono ammirare, tra gli altri, al Louvre, al British Museum, al Museo Archeologico di Firenze, al Museo Vaticano. I pochi reperti in alabastro d'epoca medievale e rinascimentale testimoniano la totale decadenza in quel periodo dell'impiego di questo materiale. L'artigianato dell'alabastro comincia a rifiorire nel 1600 quando, oltre ad opere esclusivamente artistiche, si estende la lavorazione ad oggetti d'arredamento più commerciali. Si può parlare però di vera rinascita, sotto il profilo quantitativo e qualitativo, solo agli inizi del 1700 quando, grazie ad abili riproduttori di opere classiche, si cominciarono a produrre oggetti d'ottimo livello che fecero conoscere l'alabastro al mondo intero. Secondo una relazione del Granducato di Toscana, nel 1780 operano a Volterra otto o nove botteghe artigiane, mentre nel 1830 il numero dei laboratori sale ad oltre sessanta. Animatore dell'industria dell'alabastro, in questo periodo, fu Marcello Inghirami Fei, che seppe unire ad un eccezionale talento artistico, un notevole intuito per gli affari e grandi capacità organizzative. Tra i numerosi meriti di questo nobile volterrano sono da sottolineare quello di avere cominciato per primo lo sfruttamento dei giacimenti di Castellina, che producono un alabastro d'incomparabile bellezza (lo scaglione), e quello di avere creato impianti di lavorazione più moderni e capaci di produrre manufatti di notevole pregio, ma soprattutto, quello di avere creato una grande scuola laboratorio nella quale più di cento allievi lavoranti potevano apprendere, sotto la direzione di abili maestri italiani e stranieri, l'arte della lavorazione dell'alabastro, dando così inizio ad un importante processo di crescita. Fino al 1870 l'intero settore conobbe un periodo ininterrotto di espansione e di affermazioni in Italia e all'estero. Artigiano alabastraioDa allora, a periodi di prosperità economica, sono seguiti, ciclicamente, altri di profonda crisi, ma nonostante l'alternarsi delle congiunture economiche, l'industria dell'alabastro volterrano ha continuato ad affermarsi per l'elevato pregio dei suoi prodotti che non ha uguali nel mondo. Sono trascorsi più di duemila anni da quando gli Etruschi ne iniziarono la lavorazione, ma l'alabastro, pur tra numerose difficoltà, si lavora ancora a Volterra e, pur non costituendo più il settore trainante della sua economia, è senz'altro ancora l'elemento caratterizzante della sua cultura e della sua storia. Oggi, sono poche le botteghe artigiane rimaste nel centro storico, ma a quei pochi veri artigiani che vi lavorano è affidata la conservazione della tradizione e il compito di indirizzare la produzione verso la conservazione della sua indiscussa qualità.


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Autore Fabio Montagnani
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Ultimo aggiornamento il 1 Giugno 2017
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