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Corsica ed I Corsi
Guida alla Corsica

L'immagine che i francesi "del continente" si fanno generalmente della Corsica è un guazzabuglio di personaggi, da cui emergono un po' confusamente un imperatore, un cantante, avvocati, attori del cinema, ed anche alcuni famosi banditi. A tale immaginario collettivo si affianca anche una certa attitudine ad attribuire ai corsi alcuni difetti quali l'indolenza, la suscettibilità, un certo spirito di clan, uno sciovinismo portato all'estremo, una certa propensione alla frode fiscale e elettorale, ma il quadro che emerge dalla realtà è molto diverso. L'apparente austerità, le manifestazioni di tipica esuberanza latina, il senso dell'umorismo e della battuta pronta, celano qualità rare: la sobrietà, il coraggio, il culto della famiglia, l'inflessibile senso dell'onore, la fedeltà nei rapporti d'amicizia e verso la parola data. Il corso si è forgiato attraverso una storia travagliata ed una vita difficile e conserva una certa diffidenza nei confronti dell'italiano, " luchesu " (lucchese), del francese del continente "pinzuttu", o del "pied noir" (francese d'Algeria). Il termine un po' ironico di " pinzuttu " (a punta) allude, probabilmente, ai cappelli a tre punte (tricorni) usati dai soldati di Luigi XV, inviati in Corsica nel 1764.
Il corso è dotato di un profondo senso dell'ospitalità, è incapace di agire con calcolo, orgoglioso della sua piccola patria, apprezza che anche gli altri condividano con lui l'ammirazione per le sue bellezze naturali e paesaggistiche e contribuiscano al benessere della sua isola; gradisce sicuramente meno che vi si realizzino profitti da cui sia escluso o che vi si introducano usi e costumi estranei alla sua mentalità.
In patria, i corsi possono apparire fatalisti ed abitudinari, sono cattolici praticanti e tuttavia inclini alle superstizioni. Amano la loro isola in modo esclusivo, ma, qualora si trovino lontano, staccati dalle usanze e convenzioni del loro paese, dimostrano un'incredibile capacità di adattamento ed un notevole senso d'iniziativa, sostenuto da una vivace curiosità intellettuale. Occorre sottolineare che, in patria, essi coltivano il proprio particolarismo manifestandolo in varie forme; il culto dei morti, ad esempio, è una tradizione estremamente importante che impone ai parenti, anche se molto distanti, di accompagnare il defunto alla sepoltura e di erigergli imponenti cappelle.

Tradizioni religiose
- Le tradizioni religiose sono ancora estremamente vive sull'isola e si esprimono con elementi di grande spettacolarità, come nel caso delle processioni, organizzate in molte località il Giovedì ed il Venerdì Santo, durante le quali sfilano per le strade lunghi cortei di penitenti incappucciati. Imponenti sono anche i festeggiamenti per i patroni delle città e dei villaggi, per la Madonna, e per alcuni santi protettori di corporazioni quali, ad esempio, sant'Erasmo, protettore dei marinai. La tradizione delle celebrazioni pasquali, che prevede la visita e la benedizione di ogni abitazione da parte del prete, è ancora molto forte. A queste manifestazioni di fede si affiancano spesso alcune pratiche permeate di credenze superstiziose, tra cui si può sicuramente citare la vendita sulle porte delle chiese dell' "erba dell'Ascensione" in occasione della festa pasquale; quest'erba viene poi accuratamente conservata per proteggere la casa dagli incendi.

La "vendetta"
- La lontananza della giustizia genovese e la sua mancata applicazione hanno a lungo indotto chi aveva subito una grave offesa a farsi giustizia da sé, comportamento è imposto dal mito dell'onore. Già nel XVIII sec., viene segnalato un numero molto elevato di omicidi; la gravità di tale fenomeno è dimostrata dalla famosa "missione" pronunciata nel 1744 contro la vendetta da uno dei grandi predicatori popolari dell'epoca, san Leonardo di Porto Maurizio. Nel XIX sec. il flagello assume le dimensioni di una vera e propria piaga sociale che si attenuerà solo dopo il 1840. Questo clima rappresenta sostanzialmente la culla del "banditismo d'onore", poiché la regola imponeva al giustiziere di "darsi alla macchia". Il numero dei veri banditi d'onore rimase comunque abbastanza limitato. In un paese occupato da un'amministrazione straniera, il ribelle assurgeva a eroe popolare. I più famosi nel corso degli ultimi due secoli furono i fratelli Bellacoscia di Bocognano, Nicolai di Carbini, F.M. Castelli di Carcheto, Romanetti di Calcatoggio, A. Spada di Lopigna e Micaelli d'Isolaccio di Fiumorbo.

La "vendetta"
- La lontananza della giustizia genovese e la sua mancata applicazione hanno a lungo indotto chi aveva subito una grave offesa a farsi giustizia da sé, comportamento è imposto dal mito dell'onore. Già nel XVIII sec., viene segnalato un numero molto elevato di omicidi; la gravità di tale fenomeno è dimostrata dalla famosa "missione" pronunciata nel 1744 contro la vendetta da uno dei grandi predicatori popolari dell'epoca, san Leonardo di Porto Maurizio. Nel XIX sec. il flagello assume le dimensioni di una vera e propria piaga sociale che si attenuerà solo dopo il 1840. Questo clima rappresenta sostanzialmente la culla del "banditismo d'onore", poiché la regola imponeva al giustiziere di "darsi alla macchia". Il numero dei veri banditi d'onore rimase comunque abbastanza limitato. In un paese occupato da un'amministrazione straniera, il ribelle assurgeva a eroe popolare. I più famosi nel corso degli ultimi due secoli furono i fratelli Bellacoscia di Bocognano, Nicolai di Carbini, F.M. Castelli di Carcheto, Romanetti di Calcatoggio, A. Spada di Lopigna e Micaelli d'Isolaccio di Fiumorbo.

Il canto
- I canti tradizionali corsi, vicini alle melopee arabe ed al canto gregoriano, un tempo improvvisati, riflettono le lotte del passato e la durezza dei costumi. I "lamenti" sono nenie cantate in occasione di un decesso, i "voceri", selvagge grida eseguite dalle "voceratrici", donne vestite di nero che si strappavano i capelli in segno di disperazione per una morte violenta e incitavano alla "vendetta". A questi canti funebri facevano riscontro alcune ninnananne, carole, serenate (in omaggio alle fanciulle), canti di lavoro, canti satirici. I pastori e gli abitanti dei villaggi dell'entroterra (Rusio, Sermano) cantano ancor oggi le messe in "paghiella", una modulazione a tre voci maschili, aspra e straziante.


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Autore Fabio Montagnani
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Ultimo aggiornamento il 1 Giugno 2017
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