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martedì 15 luglio 2008

 

Legislazione OTS - perché bisogna cambiare

Siamo arrivati ormai al bivio, il decreto legislativo del 13 gennaio 1979 che ha regolarizzato fino ad oggi la categoria dei sommozzatori in servizio locale, è ormai poco incisivo per poter soddisfare i bisogni di un settore abbandonato da anni a se stesso che denuncia problemi sempre maggiori. Nell'ultimo decennio sei disegni di legge, presentati in Parlamento, durante diverse legislature, (Battaglia 1997, Arrighi 2001, Martini 2001, Arrighi e Martini 2004, Bellotti 2006, Fabbri 2007), e mai portati a termine, testimoniano l'interesse del legislatore per il settore ma, a mio parere, quelle proposte legislative, comunque non sarebbero state incisive nel dare una descrizione reale e la relativa soluzione normativa agli innumerevoli problemi di cui soffre il settore. Non sono bastate valide iniziative locali, (Ordinanza Capitaneria di Porto di Ravenna 1992), o iniziative regionali (Emilia Romania 2007), nel cercare di “codificare” iter operativi e formativi per la definizione di questa figura professionale, o interrogazioni a risposta scritta presentate in Parlamento (Evangelisti - gennaio 2008) per smuovere il torbido delle acquee dove appare sommersa la legislazione relativa ai sommozzatori. Ma la tenacia nel continuare a voler cambiare, pur trovando sempre vicoli chiusi, la dice lunga sul desiderio, da parte di molti, di trovare anche in Italia la via maestra. Anche per questo, in uno degli ultimi disegni di legge presentati, il legislatore scrive nella relazione introduttiva: “A differenza dagli altri Stati dell'Unione Europea, l'Italia non ha una disciplina professionale che identifichi e tuteli la categoria degli operatori subacquei e iperbarici. In modo improprio ciascun segmento dell'attività industriale e turistica (edilizia, metalmeccanica, petrolchimica, didattico - turistiche e centri diving) utilizza, talora senza una seria formazione, operatori al di sotto del «pelo dell'acqua», inquadrandoli contrattualmente nella propria disciplina e categoria. …omissis…. In pratica, non esistendo in Italia una categoria professionale, l'imprenditore italiano che voglia assumere operatori qualificati deve rivolgersi a lavoratori stranieri dotati di brevetto «omologato» con costi, rispetto alla realtà economica italiana, superiori del 100 o 200 per cento, con effetti sulla competitività economica facilmente valutabili. …omissis… E dire che storicamente l'Italia ha prodotto subacquei di notevole levatura, attraverso la marina militare o l'iniziativa, lodevole ma indisciplinata, delle aziende che operano nel settore. L'Unione Europea detta normative ben precise che regolano l'attività professionale subacquea e che gli altri Stati membri hanno adottato ed applicato già da tempo; solo l'Italia risulta ancora inadempiente. “ Addirittura l’On. F. Evangelisti, nella sua interrogazione a risposta scritta, del gennaio 2008, parla di “distrazione del legislatore” quando si riferisce alla scarna legislazione attuale. Tutte belle parole e buone intenzioni, che non risolvono un problema grave e cronico nel settore della subacquea industriale. Sono convinto, che urge una legge che regolamenti questo settore della subacquea industriale, senza voler elaborare una legge "tuttologa" sulla subacquea, infatti, ritengo che non occorra intervenire sulla subacquea sportiva ricreativa amatoriale e dilettantistica, dove, a mio parere, sono le regioni gli enti più interessati alla presentazione di regolamenti rispondenti alle caratteristiche e problematiche territoriali (coste, acque interne, ecc.), come d'altra parte avviene attualmente in quasi tutte le regioni italiane. La subacquea industriale invece, ha bisogno di una legislazione che includa tutto il territorio nazionale, nell'ambito delle acque marittime territoriali, che comprendono le acque portuali, quelle costiere e quelle di altura situate comunque entro il limite (20 miglia nautiche) di interesse economico nazionale e di quelle interne che comprendono le acque dei bacini lacustri naturali ed artificiali, le acque fluviali e le acque ipogee, tenuto conto che l'operatore subacqueo industriale si proietta, come ambito lavorativo, anche nel più vasto ambito internazionale, infatti la maggioranza degli operatori che iniziano ad operare in ambito locale (dopo l'iscrizione al Registro Sommozzatori in servizio locale presso una Capitaneria di Porto) ben presto passano a lavorare con diving industriali in off-shore. Bisogna tenere conto che il mondo del lavoro e il contesto territoriale nel quale può operare la figura professionale del sommozzatore industriale, va oltre i limiti regionali e nazionali e quindi, per sostenere la mobilità professionale delle persone, i percorsi formativi sviluppati nel settore devono seguire il percorso indicato dalle regole della formazione nel settore industria. Questi percorsi, per essere validi, oltre che nel territorio Italiano anche in tutto l'ambito operativo di un sommozzatore professionista, devono adottare standard definiti in coerenza con gli standard internazionali IMCA, IDSA o AODC ecc., che possono garantire una maggiore spendibilità della qualifica di Sommozzatore Italiano a livello internazionale. Nessun altro percorso formativo dovrebbe abilitare all'iscrizione nel Registro Sommozzatori. Non a caso, il prof. Garilli, docente ordinario di Diritto del Lavoro all’Università di Palermo, in una relazione sull’argomento, del maggio 2008, in riferimento al problema dell’iscrizione dei sommozzatori presso una Capitaneria di Porto cosi scrive: ”Invero, laddove si consentisse ad un lavoratore di rendere la propria prestazione nel settore metalmeccanico - per effetto della iscrizione nel Registro dei Sommozzatori ottenuta, ad esempio, a seguito di una abilitazione all'attività di archeologia subacquea - lo stesso sarebbe certamente esposto a gravi rischi dai quali non potrebbe tutelarsi a causa di incolpevoli lacune formative”. Uno scarso “controllo” a quella che risulta essere la porta d’ingresso, cioè l’iscrizione al Registro dei Sommozzatori, ha quindi gravi implicazioni e penalizza tutto il settore se l'iscrizione avviene senza prestare la necessaria attenzione alle diverse tipologie di qualifiche professionali (acquisite a seguito di corsi di formazione professionale) non tutte ricadenti nel settore industria, e quindi, contestualmente non abilitanti a un lavoro subacqueo di tipo tecnico/industriale/metalmeccanico. Molte Capitanerie di Porto, che devono da un lato "guardare" e salvaguardare la regolarità delle iscrizioni, per motivi di "ambiguità" nella formulazione della legislazione attuale, hanno dato luogo all'iscrizione nel Registro Sommozzatori di persone volenterose ma con una formazione non adeguata, il che ha forse concorso nel determinare parecchi incidenti sul lavoro anche mortali (vedi: Capri 2004 - Ravenna 2005 ), d’altra parte anche le Capitanerie stesse, per i limiti territoriali, definiti da una legge ormai molto "datata" sono spesso impossibilitate ad intervenire con azioni decisive a salvaguardare l’incolumità degli operatori regolari o degli “abusivi”, questi ultimi, subacquei che si accingono in attività lavorative per le quali non hanno conseguito la necessaria formazione e danneggiano il settore con interventi raffazzonati, non controllati e quasi totalmente in assenza di regole operative, di prevenzione e sicurezza, ormai affermate e suffragate in ambito internazionale. Infatti, i subacquei "irregolari" ormai popolano tutte le aree lavorative dove opera in inshore il sommozzatore in servizio locale, impedendo una regolare crescita di chi ha cercato di seguire una strada in salita per lavorare in ottemperanza alla scarna legislazione esistente.Abusivi "regolari", invece, potremmo definire le aziende estere che approfittando della mancanza di una adeguata legislazione sul territorio italiano, riescono ad ottenere l'assegnazione di lavori, facendo delle offerte al ribasso, in bassa sicurezza, che in altre parti del mondo non avrebbero potuto essere autorizzate, visto la quasi totale assenza di regole e normative adeguate in Italia. Ad esempio: con tutte le aziende di lavori subacquei che ci sono in Italia, la bonifica sulla Haven (Genova) sono venuti a farla gli olandesi; visto che il committente ha badato "solo" all'offerta degli olandesi - di molto inferiore a quelle fatte dalle aziende italiane - essi hanno potuto operare in bassa sicurezza con il risultato di registrare ben due incidenti, per fortuna non molto gravi, ma certamente evitabili se la legislazione italiana fosse stata almeno similare a quella di tutti gli altri Stati europei, dove si possono fare lavori del genere solo dopo aver ottemperato a misure di prevenzione e sicurezza basilari per qualsivoglia intervento subacqueo. Lamentele arrivano anche dalle aziende italiane che lavorano con la ENI e che hanno problemi nell'avere assegnati appalti di lavoro con società quali la BP, Shell o altre compagnie petrolifere, a causa della mancata legislazione che definisce in Italia la figura dell'OTS, a meno che non assicurino fra il loro personale operatori stranieri (non italiani) assunti con la qualifica che le altre nazioni hanno debitamente ratificato nel loro sistema legislativo. Ecco i motivi per cui bisogna eliminare questo vuoto legislativo e dare finalmente una legislazione seria e competente sia agli operatori del settore, sia alle aziende che in esso operano, rispondendo alle esigenze di chi materialmente scende in mare per lavorare e di chi dovrà vigilare e proteggere gli operatori del settore (Capitanerie, Guardia Costiera, ecc.). Concludo sperando, a questo punto che il prossimo disegno legislativo, possa completare il percorso nei dedali delle commissioni parlamentari e possa partorire in tempo utile quello che la categoria aspetta ormai da decenni: norme aggiornate, valide in ambito nazionale ed internazionale, che tutelino il sommozzatore italiano in ambito nazionale e lo equiparino agli altri operatori subacquei di nazionalità estera, dandogli il relativo riconoscimento che in atto manca totalmente all'Operatore Tecnico Subacqueo italiano.
Manos Kouvakisdirettore CEDIFOP

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